domenica 21 aprile 2013

Trail di Val della Torre

Primo trail della stagione in condizioni meteo da autunno inoltrato. Alle 6 di questa mattina la motivazione era veramente poca, la pioggia invece molta. Abbiamo trovato la neve nei due tratti più alti, uno prima del Col del Lys, dove si concludeva la mezza, e uno subito dopo. Al di la dei tratti con la neve, la pioggia e/o il vento ci ha accompagnato per quasi tutta la gara. E i sentieri si sono trasformati di fatto in tanti piccoli ruscelli!!! Ho patito tantissimo la lunga discesa dal Musinè che ho trovato interminabile e mi ha mandato in crisi. Giunti finalmente a Caselette, a 5 k dall'arrivo, che sembrano pochi ma sul momento sono interminabili, ad attenderci un piccolo fuori programma dell'organizzazione: un deviazione che prevedeva la risalita di una collina per circa 100m di dislivello e guado finale di mega torrente in piena!!!
Comunque domani resterà poco della fatica. Rimarrà invece un bel ricordo di una domenica trascorsa correre su e giù per monti!!!
In compagnia di Andrea, con il quale ho condiviso praticamente tutta la gara, Giorgio, Tommy e Silvia all'esordio nelle gare che si è piazzata seconda di categoria. Molti invece i volti conosciuti che si rincontrano quasi sempre in queste competizioni.
Alla prox, M.Soglio stiamo arrivando!!



lunedì 15 aprile 2013

un tranquillo weekend di valanghe!!!

ho letto e riletto la mail di Teo e sono rimasto molto turbato. un po' perché conosco le persone coinvolte e che ritengo prudenti, un po' perché ho visto le foto della slavina che non assomiglia per niente a quelle mostruose che si vedono su youtube, un po' perché il luogo in cui è caduta non si trova su un versante estremo e ripido... è tutto abbastanza normale, in un posto quasi banale e simile a quelli in cui mille volte ci siamo trovati a percorrere le ns belle gite "tranquille".... in cui la ns valutazione oggettiva del pericolo nn avrebbe destato alcun preoccupazione.
d'altro canto aineva dava un pericolo 3 in aumento, presenza di un rialzo spaventoso della temperatura e l'ora troppo avanzata.
tutti fattori che nn si devono mai sottovalutare.
dunque vediamo di stare sempre coperti e pronti a rivedere i ns programmi anke se le occasioni per fare le gite nn sono molte. la determinazione vale solo con noi stessi e nn con la montagna

iGioP



la mail di Teo:

Ho pensato di 'buttar' giù qualche considerazione su un'esperienza diversa ed importante e di condividerla con voi.

Era dall'anno scorso che sognavo di fare la Chamonix/Zermaatt, una classica dello scialpinismo: sette giorni sospesi sui monti al confine tra Francia, Italia e Svizzera. Prospettatasi l'opportunità con il Gruppo di Scialpinismo dell'Uget a marzo, si prenota.
Ma il 10 mi faccio male al ginocchio. Ahi, ahi.
La meteo mi favorisce: tempo brutto, neve e ancora neve. Si rinvia, si rinvia, fino al 12-13 aprile ed accorciando il percorso.
Nel frattempo risistemo il ginocchio poco per volta e cerco di mantenere un minimo di allenamento.
Venerdì 12 aprile decido di non salire nè con il gruppetto che prende dalla Valle di Cervinia per il Chateau des Dames e la discesa sulla Valpelline e il Rifugio Prarayer, nè con il residuo che sale fino alla diga della Valpelline per fare una gita in loco e salire per il lungo lago al Rifugio Prarayer e riunirsi agli altri. Lo decido per tenere a riposo il ginocchio ed arrivare ben riposato al raid.

Parto da Torino sabato mattina 13, tardi, e arrivo alla diga verso le 14,30.
Ci trovo Giovanni Pollino, Cecilia Torelli e Cristina Calasso che avevano appena finito una gita. Non sapevo fossero lì. Giovanni e Cristina aspettano una certa Elena, per ritornare a Torino, mentre Cecilia mi riferisce che gli altri tre compagni sono già partiti per il Rifugio e lei mi ha aspettato per farmi compagnia.
Quindi partiamo.
Occorre fare circa due chilometri di strada innevata per arrivare alla diga e, di lì, percorrere il sentiero a sinistra del lago ed arrivare al rifugio.
Saliamo tranquilli, fa molto caldo; troppo.
Sul sentiero lungo il lago attraversiamo colate di piccole valanghe, alcune scendono fin quasi al lago ghiacciato, molto basso in questa stagione e vediamo anche qualche bello scarico di pietroni.

Siamo a circa 15- 20 minuti dal rifugio. Io in testa avanti di una trentina di metri rispetto a Cecilia.
Esco dal bosco per proseguire su un traverso aperto che conduce, al suo termine, ad una piccola discesa sulla chiesetta.
Sento un rumore, meglio un forte fruscio alla mia sinistra, verso l'alto della montagna. Mi giro e vedo una massa di neve scendere spruzzando e saltando. Mi rendo conto che sono esattamente sul percorso della valanga. Cerco di girarmi per tornare indietro pensando di ripararmi nel boschetto rado alle mie spalle, dal quale sono appena uscito e che dista pochi metri.
Però lo zaino è troppo pesante (ho anche due bute di vino per la sera!!!) e cado all'indietro, con la faccia verso montagna. Così vedo arrivarmi addosso la massa di neve e penso, porca miseria, chissà se ce la faccio. Chissà perchè mentre la neve mi colpisce cerco di farmi ruotare verso valle in modo da non essere verso la parte più profonda della massa nevosa e, contemporaneamente, metto le mani che impugnano i bastoncini davanti alla faccia.
La valanga mi fa girare su me stesso: è velocissima. In un secondo mi passa sopra, mi gira. Cerco di rimanere parallelo alla strada e così rimango, mentre tutto si ferma e sono sotto il manto nevoso. Fine del fruscio, fine del vento, fine del movimento.
Le mani che erano protese verso il fuori annaspano e riesco a liberarmi la faccia. Più tardi, guardando la montagna, realizzo che se fossi rimasto girato verso monte sarei morto, perchè non avrei avuto alcuna possibilità di far uscire le mani e di proseguire con quel che ho fatto.
Nel giro di altri due-tre secondi inizio ad essere assalito da un freddo terribile (ero in maglietta senza maniche e senza guanti!!!) e da un'oppressione su tutto il corpo ancor più terribile. Non riesco a muovere il corpo: la parte bassa intrappolata dagli sci che non si muovono di un millimetro; il busto bloccato dallo zaino in spalla e dalla neve sopra di me, le braccia che fanno quel che possono, l'unico bastoncino rimastomi infilato nella neve e che non vuol saperne di uscire.
Urlo 'Ceci', 'Ceci', perchè non so nè se anche lei è sotto la valanga, nè in che condizioni sia. Mi risponde urlando 'Matteo', 'Matteo' sono sotto, 'Matteo', ' Matteo'; evidentemente si era liberata la faccia. Poi mi dirà che mi ha visto andar sotto e ha cercato di localizzarmi per aiutarmi: in realtà non aveva la pala e dopo pochi secondi anche lei è stata sommersa da una parte della valanga che si era divisa nello scendere a valle.

A colpi di bacino e annaspando con mani e gomiti libero la pancia, la faccia e le spalle. Riesco a sganciare il ventrale dello zaino e, finalmente, a tirarmi su con il busto. Scavo come un dannato con le mani per liberare il bastoncino rimastomi, unico strumento che avevo per cercare di sganciarmi gli attacchi. Intanto Ceci continua a chiamarmi: 'Matteo', 'Matteo'. Le dico che sono fuori e che sto facendo il possibile per venire ad aiutarla, che abbia fiducia e tenga duro. C'è un silenzio, a parte noi che urliamo, assolutamente naturale (proprio così: del tutto naturale; l'intorno è indifferente, è accaduto ciò che può accadere).

Riesco a liberare il bastoncino, pulisco un pò intorno alla gamba sinistra, per colmo di 'c...? dò una botta verso l'attacco e si sgancia; provo con il destro che mi fa un pò male (è quello con il tutore), e sono un pò meno fortunato. Mi ci vuole un bel pò per riuscire al liberare l'attacco.
A quel punto ho bisogno dello zaino dove è riposta la pala. Provo ad estrarlo, ma è un macinio sotto la neve compatta. Non si muove. Uso come un forsennato il retro del bastoncino per alleggerire i bordi. Intanto Ceci mi chiama e le spiego che sto recuperando lo zaino e la pala. Finalmente riesco a sfilare lo zaino per il fondo. Lo estraggo, dico a Cecilia: ce l'ho fatta, prendo la pala, mi vesto e arrivo, arrivo. Infatti ho un freddo agghiacciante (non per far delle freddure).
Corro verso Cecilia sprofondando e scivolando: siamo in piano su quello che è un sentiero comodo e largo!.
La vedo: si è già liberata il busto, è stata colpita in faccia ed è riversa sul bordo del sentiero, riversa di schiena verso il lago. Le dico che sto arrivando. Arrivo e la vedo con la faccia e le braccia insanguinate (poi in realtà sono graffi; ma l'impressione è forte). Inizio a scavare più in fretta che posso. Ha il respiro cortissimo ed affannosissimo. Mi chiede: ci avranno visti, avranno sentito, ci manderanno i soccorsi; ho provato, ma il telefono non funziona. Dico che non verrà nessuno, che non passerà nessuno se non, forse, domani, che ci tocca risolvercela da soli.
Le libero tutto il busto e la parte superiore del busto, le sgancio lo zaino. Trema come una foglia. La raddrizzo sul busto per consentirle di infilare il pile che ha sullo zaino. Si lamenta che ha male alle gambe. Mi cade la pala verso il lago. Scendo a riprenderla.
Sono preso dal panico perchè non so che fare se si è rotta qualcosa. Inizio a scavare intorno al bacino ed alle gambe; ha la gamba destra torta in un modo innaturale e la sinistra anch'essa piegata malamente. Si lamenta ancora: poi mi dice che ha dei crampi!. Siccome la neve è pesantissima mi metto ad urlare ad ogni spalata per racimolare un pò di forza. Nella foga si rompe il manico della pala, perchè nonostante l'accortezza la pianto troppo. Per fortuna la Salewa ha anche il manico per l'innesto a zappa. Così cambio senso. Arrivo allo scarpone destro: prendo l'unico bastoncino (anche Cecilia ne ha lasciato uno nella valanga) e sgancio lo sci; poi il secondo.
Siedo Cecilia e le chiedo se posso tirarla su dalla schiena: pronti, uno due tre, via. Viene su e sta su. Ho tra le braccia una foglia: le dico di mettersi addosso quello che ha; cava fuori il duvè e si riscalda. L' abbraccio e le friziono la schiena. Poco per volta sembra riscaldarsi.
Reinizio a scavare per riprendere i suoi sci; li trovo, se li infila. Torno al mio 'buco', riscavo, trovo gli sci, li metto e si riparte per il Rifugio.
Qui termina il nostro raid. Mi bevo una buona parte del vino portato su. Mescolando anche con delle birre ghiacciate! 'Festeggiamo' la nostra buona sorte. Dormo dalla 9 di sera alle 7,30 del mattino!. L'indomani, con due bastoncini imprestati al rifugio, siamo rientrati all'auto e a Torino.

A questo punto, alcune considerazioni, diciamo, umane ed alcune tecniche.

Essere distesi, per terra, immobili e vedere la massa di neve che scende velocissima e sta per colpirti dà paradossalmente la sensazione di un fatto naturale, scontato. Questa è la parte più difficile da descrivere. Pare quasi che te lo aspetti e che tu lo sappia, come già vissuto. Nel senso che ti vien da pensare che è così, capita, la neve è instabile e viene giù e tu non puoi che accettarlo e basta. Ti viene incontro come altri fatti della vita.
Certo senti che ti spiace perchè ti vengono in mente le persone che ti aspettano.
Nello stesso istante hai un spinta alla soluzione che ti fa provare alcune decine di sensazioni nello spazio di un istante: è come un flash non visivo che riempie ogni parte del corpo. Senti e ti muovi come se tutto avvenisse in un solo momento. Non pensi. Le tue reazioni fisiche sono quasi automatiche: cerchi il movimento che serve (pur essendo caduto all'indietro con il corpo e gli sci rimasti davanti, mi son fatto girare verso valle), cerchi l'aria che ti fa vivere (ho tenuto le braccia davanti alla faccia e protese verso l'alto), cerchi l'obiettivo più utile ed immediato (aprire il buco nella neve sopra di te, per respirare). Non lo fai con la testa, ma con l'istinto. Non c'è assolutamente niente di 'figo', di mentale. E' come se recitassi un copione già scritto.
La mente invece quando si attiva è di assoluto intralcio: ti dà i timori, le sensazioni, le paure che non servono a nulla. Hai freddo perchè pensi al freddo; hai male alla mani nude che scavano, perchè pensi che non hai i guanti. Pensi di rimanere bloccato perchè non riesci a muovere se non un pò le braccia. Almeno in quella fase lì, dove devi solo fare, agire, lasciare il tuo corpo e la tua anima dettare le regole, la testa non serve a un tubo. Appena passi quella fase, allora sì: ragioni e scegli soluzioni che credi migliori (almeno è quello che speri), pianifichi e agisci di conseguenza.
Tutto il tempo che scorre non esiste per nulla. Vai avanti e basta. Dopo, senti il freddo, la stanchezza, il bagnato in tutto il corpo (fin le mutande e i calzettoni erano marci).

Sul piano 'tecnico', a posteriori dici: ci siamo mossi troppo tardi, il rischio era 3 marcato, ma è salito a 4 e non lo sapevamo. Questa è la considerazione tecnica più attendibile. La gestrice del Rifugio ci ha confessato che quest'inverno ha dovuto fare avanti e indietro il sentiero per andare da suo figlio con la varicella. Non ha avuto evidentemente problemi; però ci ha confessato che ha contato 9 (nove!!!) valanghe e una volta sono scesi in elicottero per il rischio. Allora credo sarebbe buona norma che venisse messo un qualche cartello all'ingresso della diga, per avvertire chi sale. Quando siamo scesi abbiamo incontrato 6 bernesi che salivano alle 11: ho detto loro che andassero su il più velocemente possibile e ho chiamato il rifugio per avvertire che partivano e che se in due ore non arrivavano, si preoccupassero.

Non bisogna andare in giro senza pala; è certamente sempre indispensabile. Però bisogna arrivarci alla pala e, in autosoccorso, devi avere la fortuna che abbiamo avuto noi: la valanga ci ha coperti, era di neve marcia pesantissima, ma non siamo stati sommersi per troppa altezza, anche perchè eravamo sul bordo del sentiero verso valle e quindi l'accumulo è stato minore (se la manovra che mi ha fatto cadere avesse avuto successo dopo due-tre metri verso l'indietro sarei finito sotto dei 'palloni' di neve di qualche metro cubo!). E, poi, non era una valanga enorme (ho fatto delle foto, al ritorno); questa è stata la nostra principale fortuna.

Non bisogna svestirsi mai: il freddo ti becca comunque, ma essere quasi nudi non aiuta. Non ho idea di quanto tempo avremmo potuto resistere ancora. Anche se è aprile e fa un caldo boia. Ti rendi conto che ti frolla. Io sono andato avanti ad agitarmi e a far movimenti e quindi mi sono un pò riscaldato (!); Cecilia era al sole, però non potendo muoversi era quasi congelata!.

L'avalung (o come diavolo si chiama) non penso serva a un tubo: non solo in questi casi non si galleggia, ma mi chiedo quanto possa trattenere quel 'comò' nella neve. Questa, marcia, ha un peso insensato: per togliermi lo strato dal busto e dalla pancia ho dovuto fare la danza del ventre ripetutamente (mi è passato il maldischiena stamattina), mentre con una e poi due mani ho spostato parallelepipedi di neve pesantissimi (e fino ad oggi sono stato stanco come se mi avesse arrotato un TIR). Avere ancora altro oltre lo zaino sulle spalle mi sembra un buon modo per farsi un'àncora da fondale. E riuscire ad estrarre zaino e comò dalla neve per recuperare una pala mi sembra improbabile.
Non so se convenga chiudere il ventrale (come avevo io) o meno dello zaino: averlo a tiro (con la pala!) è necessario; se si sfila credo sarebbero dolori poi recuperarlo: certo che la sensazione di blocco nella neve sino a che non riesci a sganciarti il ventrale e a contorsioni a sfilare gli spallacci, il tutto bloccato come cemento, non è di gran conforto.

Essere da soli fa la differenza: io sarei uscito lo stesso; ma non è una buona ragione. In due si ha la probabilità di esser aiutati e di aiutarsi vicendevolmente. Da soli diventa un vero enigma.

La distanza tra sciatori è fondamentale. Fossi stato trenta metri avanti non avrei preso nulla; dieci metri indietro pure. E questa è la sorte. Invece la differenza della consistenza della valanga tra me e Cecilia era rilevante e, quindi, direi che almeno una cinquantina di metri tra ciascuno sia la misura minima opportuna. Il fronte della valanga, poi, potrebbe non essere così ampio e risparmiare qualcuno. Pertanto valgono le distanze tra singoli come se il pendio fosse sempre a rischio.

Naturalmente la regola tecnica fondamentale è che solo la buona sorte ti aiuta. E bisogna darle una mano.

Felice di raccontarvi e di tediarvi; e alla prossima vetta!.

Teo







un tranquillo weekend di valanghe!!!

ho letto e riletto la mail di Teo e sono rimasto molto turbato. un po' perché conosco le persone coinvolte e che ritengo prudenti, un po' perché ho visto le foto della slavina che non assomiglia per niente a quelle mostruose che si vedono su youtube, un po' perché il luogo in cui è caduta non si trova su un versante estremo e ripido... è tutto abbastanza normale, in un posto quasi banale e simile a quelli in cui mille volte ci siamo trovati a percorrere le ns belle gite "tranquille".... in cui la ns valutazione oggettiva del pericolo nn avrebbe destato alcun preoccupazione.
d'altro canto aineva dava un pericolo 3 in aumento, presenza di un rialzo spaventoso della temperatura e l'ora troppo avanzata.
tutti fattori che nn si devono mai sottovalutare.
dunque vediamo di stare sempre coperti e pronti a rivedere i ns programmi anke se le occasioni per fare le gite nn sono molte. la determinazione vale solo con noi stessi e nn con la montagna

iGioP



la mail di Teo:

Ho pensato di 'buttar' giù qualche considerazione su un'esperienza diversa ed importante e di condividerla con voi.

Era dall'anno scorso che sognavo di fare la Chamonix/Zermaatt, una classica dello scialpinismo: sette giorni sospesi sui monti al confine tra Francia, Italia e Svizzera. Prospettatasi l'opportunità con il Gruppo di Scialpinismo dell'Uget a marzo, si prenota.
Ma il 10 mi faccio male al ginocchio. Ahi, ahi.
La meteo mi favorisce: tempo brutto, neve e ancora neve. Si rinvia, si rinvia, fino al 12-13 aprile ed accorciando il percorso.
Nel frattempo risistemo il ginocchio poco per volta e cerco di mantenere un minimo di allenamento.
Venerdì 12 aprile decido di non salire nè con il gruppetto che prende dalla Valle di Cervinia per il Chateau des Dames e la discesa sulla Valpelline e il Rifugio Prarayer, nè con il residuo che sale fino alla diga della Valpelline per fare una gita in loco e salire per il lungo lago al Rifugio Prarayer e riunirsi agli altri. Lo decido per tenere a riposo il ginocchio ed arrivare ben riposato al raid.

Parto da Torino sabato mattina 13, tardi, e arrivo alla diga verso le 14,30.
Ci trovo Giovanni Pollino, Cecilia Torelli e Cristina Calasso che avevano appena finito una gita. Non sapevo fossero lì. Giovanni e Cristina aspettano una certa Elena, per ritornare a Torino, mentre Cecilia mi riferisce che gli altri tre compagni sono già partiti per il Rifugio e lei mi ha aspettato per farmi compagnia.
Quindi partiamo.
Occorre fare circa due chilometri di strada innevata per arrivare alla diga e, di lì, percorrere il sentiero a sinistra del lago ed arrivare al rifugio.
Saliamo tranquilli, fa molto caldo; troppo.
Sul sentiero lungo il lago attraversiamo colate di piccole valanghe, alcune scendono fin quasi al lago ghiacciato, molto basso in questa stagione e vediamo anche qualche bello scarico di pietroni.

Siamo a circa 15- 20 minuti dal rifugio. Io in testa avanti di una trentina di metri rispetto a Cecilia.
Esco dal bosco per proseguire su un traverso aperto che conduce, al suo termine, ad una piccola discesa sulla chiesetta.
Sento un rumore, meglio un forte fruscio alla mia sinistra, verso l'alto della montagna. Mi giro e vedo una massa di neve scendere spruzzando e saltando. Mi rendo conto che sono esattamente sul percorso della valanga. Cerco di girarmi per tornare indietro pensando di ripararmi nel boschetto rado alle mie spalle, dal quale sono appena uscito e che dista pochi metri.
Però lo zaino è troppo pesante (ho anche due bute di vino per la sera!!!) e cado all'indietro, con la faccia verso montagna. Così vedo arrivarmi addosso la massa di neve e penso, porca miseria, chissà se ce la faccio. Chissà perchè mentre la neve mi colpisce cerco di farmi ruotare verso valle in modo da non essere verso la parte più profonda della massa nevosa e, contemporaneamente, metto le mani che impugnano i bastoncini davanti alla faccia.
La valanga mi fa girare su me stesso: è velocissima. In un secondo mi passa sopra, mi gira. Cerco di rimanere parallelo alla strada e così rimango, mentre tutto si ferma e sono sotto il manto nevoso. Fine del fruscio, fine del vento, fine del movimento.
Le mani che erano protese verso il fuori annaspano e riesco a liberarmi la faccia. Più tardi, guardando la montagna, realizzo che se fossi rimasto girato verso monte sarei morto, perchè non avrei avuto alcuna possibilità di far uscire le mani e di proseguire con quel che ho fatto.
Nel giro di altri due-tre secondi inizio ad essere assalito da un freddo terribile (ero in maglietta senza maniche e senza guanti!!!) e da un'oppressione su tutto il corpo ancor più terribile. Non riesco a muovere il corpo: la parte bassa intrappolata dagli sci che non si muovono di un millimetro; il busto bloccato dallo zaino in spalla e dalla neve sopra di me, le braccia che fanno quel che possono, l'unico bastoncino rimastomi infilato nella neve e che non vuol saperne di uscire.
Urlo 'Ceci', 'Ceci', perchè non so nè se anche lei è sotto la valanga, nè in che condizioni sia. Mi risponde urlando 'Matteo', 'Matteo' sono sotto, 'Matteo', ' Matteo'; evidentemente si era liberata la faccia. Poi mi dirà che mi ha visto andar sotto e ha cercato di localizzarmi per aiutarmi: in realtà non aveva la pala e dopo pochi secondi anche lei è stata sommersa da una parte della valanga che si era divisa nello scendere a valle.

A colpi di bacino e annaspando con mani e gomiti libero la pancia, la faccia e le spalle. Riesco a sganciare il ventrale dello zaino e, finalmente, a tirarmi su con il busto. Scavo come un dannato con le mani per liberare il bastoncino rimastomi, unico strumento che avevo per cercare di sganciarmi gli attacchi. Intanto Ceci continua a chiamarmi: 'Matteo', 'Matteo'. Le dico che sono fuori e che sto facendo il possibile per venire ad aiutarla, che abbia fiducia e tenga duro. C'è un silenzio, a parte noi che urliamo, assolutamente naturale (proprio così: del tutto naturale; l'intorno è indifferente, è accaduto ciò che può accadere).

Riesco a liberare il bastoncino, pulisco un pò intorno alla gamba sinistra, per colmo di 'c...? dò una botta verso l'attacco e si sgancia; provo con il destro che mi fa un pò male (è quello con il tutore), e sono un pò meno fortunato. Mi ci vuole un bel pò per riuscire al liberare l'attacco.
A quel punto ho bisogno dello zaino dove è riposta la pala. Provo ad estrarlo, ma è un macinio sotto la neve compatta. Non si muove. Uso come un forsennato il retro del bastoncino per alleggerire i bordi. Intanto Ceci mi chiama e le spiego che sto recuperando lo zaino e la pala. Finalmente riesco a sfilare lo zaino per il fondo. Lo estraggo, dico a Cecilia: ce l'ho fatta, prendo la pala, mi vesto e arrivo, arrivo. Infatti ho un freddo agghiacciante (non per far delle freddure).
Corro verso Cecilia sprofondando e scivolando: siamo in piano su quello che è un sentiero comodo e largo!.
La vedo: si è già liberata il busto, è stata colpita in faccia ed è riversa sul bordo del sentiero, riversa di schiena verso il lago. Le dico che sto arrivando. Arrivo e la vedo con la faccia e le braccia insanguinate (poi in realtà sono graffi; ma l'impressione è forte). Inizio a scavare più in fretta che posso. Ha il respiro cortissimo ed affannosissimo. Mi chiede: ci avranno visti, avranno sentito, ci manderanno i soccorsi; ho provato, ma il telefono non funziona. Dico che non verrà nessuno, che non passerà nessuno se non, forse, domani, che ci tocca risolvercela da soli.
Le libero tutto il busto e la parte superiore del busto, le sgancio lo zaino. Trema come una foglia. La raddrizzo sul busto per consentirle di infilare il pile che ha sullo zaino. Si lamenta che ha male alle gambe. Mi cade la pala verso il lago. Scendo a riprenderla.
Sono preso dal panico perchè non so che fare se si è rotta qualcosa. Inizio a scavare intorno al bacino ed alle gambe; ha la gamba destra torta in un modo innaturale e la sinistra anch'essa piegata malamente. Si lamenta ancora: poi mi dice che ha dei crampi!. Siccome la neve è pesantissima mi metto ad urlare ad ogni spalata per racimolare un pò di forza. Nella foga si rompe il manico della pala, perchè nonostante l'accortezza la pianto troppo. Per fortuna la Salewa ha anche il manico per l'innesto a zappa. Così cambio senso. Arrivo allo scarpone destro: prendo l'unico bastoncino (anche Cecilia ne ha lasciato uno nella valanga) e sgancio lo sci; poi il secondo.
Siedo Cecilia e le chiedo se posso tirarla su dalla schiena: pronti, uno due tre, via. Viene su e sta su. Ho tra le braccia una foglia: le dico di mettersi addosso quello che ha; cava fuori il duvè e si riscalda. L' abbraccio e le friziono la schiena. Poco per volta sembra riscaldarsi.
Reinizio a scavare per riprendere i suoi sci; li trovo, se li infila. Torno al mio 'buco', riscavo, trovo gli sci, li metto e si riparte per il Rifugio.
Qui termina il nostro raid. Mi bevo una buona parte del vino portato su. Mescolando anche con delle birre ghiacciate! 'Festeggiamo' la nostra buona sorte. Dormo dalla 9 di sera alle 7,30 del mattino!. L'indomani, con due bastoncini imprestati al rifugio, siamo rientrati all'auto e a Torino.

A questo punto, alcune considerazioni, diciamo, umane ed alcune tecniche.

Essere distesi, per terra, immobili e vedere la massa di neve che scende velocissima e sta per colpirti dà paradossalmente la sensazione di un fatto naturale, scontato. Questa è la parte più difficile da descrivere. Pare quasi che te lo aspetti e che tu lo sappia, come già vissuto. Nel senso che ti vien da pensare che è così, capita, la neve è instabile e viene giù e tu non puoi che accettarlo e basta. Ti viene incontro come altri fatti della vita.
Certo senti che ti spiace perchè ti vengono in mente le persone che ti aspettano.
Nello stesso istante hai un spinta alla soluzione che ti fa provare alcune decine di sensazioni nello spazio di un istante: è come un flash non visivo che riempie ogni parte del corpo. Senti e ti muovi come se tutto avvenisse in un solo momento. Non pensi. Le tue reazioni fisiche sono quasi automatiche: cerchi il movimento che serve (pur essendo caduto all'indietro con il corpo e gli sci rimasti davanti, mi son fatto girare verso valle), cerchi l'aria che ti fa vivere (ho tenuto le braccia davanti alla faccia e protese verso l'alto), cerchi l'obiettivo più utile ed immediato (aprire il buco nella neve sopra di te, per respirare). Non lo fai con la testa, ma con l'istinto. Non c'è assolutamente niente di 'figo', di mentale. E' come se recitassi un copione già scritto.
La mente invece quando si attiva è di assoluto intralcio: ti dà i timori, le sensazioni, le paure che non servono a nulla. Hai freddo perchè pensi al freddo; hai male alla mani nude che scavano, perchè pensi che non hai i guanti. Pensi di rimanere bloccato perchè non riesci a muovere se non un pò le braccia. Almeno in quella fase lì, dove devi solo fare, agire, lasciare il tuo corpo e la tua anima dettare le regole, la testa non serve a un tubo. Appena passi quella fase, allora sì: ragioni e scegli soluzioni che credi migliori (almeno è quello che speri), pianifichi e agisci di conseguenza.
Tutto il tempo che scorre non esiste per nulla. Vai avanti e basta. Dopo, senti il freddo, la stanchezza, il bagnato in tutto il corpo (fin le mutande e i calzettoni erano marci).

Sul piano 'tecnico', a posteriori dici: ci siamo mossi troppo tardi, il rischio era 3 marcato, ma è salito a 4 e non lo sapevamo. Questa è la considerazione tecnica più attendibile. La gestrice del Rifugio ci ha confessato che quest'inverno ha dovuto fare avanti e indietro il sentiero per andare da suo figlio con la varicella. Non ha avuto evidentemente problemi; però ci ha confessato che ha contato 9 (nove!!!) valanghe e una volta sono scesi in elicottero per il rischio. Allora credo sarebbe buona norma che venisse messo un qualche cartello all'ingresso della diga, per avvertire chi sale. Quando siamo scesi abbiamo incontrato 6 bernesi che salivano alle 11: ho detto loro che andassero su il più velocemente possibile e ho chiamato il rifugio per avvertire che partivano e che se in due ore non arrivavano, si preoccupassero.

Non bisogna andare in giro senza pala; è certamente sempre indispensabile. Però bisogna arrivarci alla pala e, in autosoccorso, devi avere la fortuna che abbiamo avuto noi: la valanga ci ha coperti, era di neve marcia pesantissima, ma non siamo stati sommersi per troppa altezza, anche perchè eravamo sul bordo del sentiero verso valle e quindi l'accumulo è stato minore (se la manovra che mi ha fatto cadere avesse avuto successo dopo due-tre metri verso l'indietro sarei finito sotto dei 'palloni' di neve di qualche metro cubo!). E, poi, non era una valanga enorme (ho fatto delle foto, al ritorno); questa è stata la nostra principale fortuna.

Non bisogna svestirsi mai: il freddo ti becca comunque, ma essere quasi nudi non aiuta. Non ho idea di quanto tempo avremmo potuto resistere ancora. Anche se è aprile e fa un caldo boia. Ti rendi conto che ti frolla. Io sono andato avanti ad agitarmi e a far movimenti e quindi mi sono un pò riscaldato (!); Cecilia era al sole, però non potendo muoversi era quasi congelata!.

L'avalung (o come diavolo si chiama) non penso serva a un tubo: non solo in questi casi non si galleggia, ma mi chiedo quanto possa trattenere quel 'comò' nella neve. Questa, marcia, ha un peso insensato: per togliermi lo strato dal busto e dalla pancia ho dovuto fare la danza del ventre ripetutamente (mi è passato il maldischiena stamattina), mentre con una e poi due mani ho spostato parallelepipedi di neve pesantissimi (e fino ad oggi sono stato stanco come se mi avesse arrotato un TIR). Avere ancora altro oltre lo zaino sulle spalle mi sembra un buon modo per farsi un'àncora da fondale. E riuscire ad estrarre zaino e comò dalla neve per recuperare una pala mi sembra improbabile.
Non so se convenga chiudere il ventrale (come avevo io) o meno dello zaino: averlo a tiro (con la pala!) è necessario; se si sfila credo sarebbero dolori poi recuperarlo: certo che la sensazione di blocco nella neve sino a che non riesci a sganciarti il ventrale e a contorsioni a sfilare gli spallacci, il tutto bloccato come cemento, non è di gran conforto.

Essere da soli fa la differenza: io sarei uscito lo stesso; ma non è una buona ragione. In due si ha la probabilità di esser aiutati e di aiutarsi vicendevolmente. Da soli diventa un vero enigma.

La distanza tra sciatori è fondamentale. Fossi stato trenta metri avanti non avrei preso nulla; dieci metri indietro pure. E questa è la sorte. Invece la differenza della consistenza della valanga tra me e Cecilia era rilevante e, quindi, direi che almeno una cinquantina di metri tra ciascuno sia la misura minima opportuna. Il fronte della valanga, poi, potrebbe non essere così ampio e risparmiare qualcuno. Pertanto valgono le distanze tra singoli come se il pendio fosse sempre a rischio.

Naturalmente la regola tecnica fondamentale è che solo la buona sorte ti aiuta. E bisogna darle una mano.

Felice di raccontarvi e di tediarvi; e alla prossima vetta!.

Teo

lunedì 8 aprile 2013

iscritto!!

Oggi mi sono iscritto al trail del monte soglio.
63km e 3.500m di dislivello positivo.....
Ma tranquilli tra 2 settimane mi sparerò i 42km della maratona alpina di valdellatorre